Preghiere che sanno di muffa?
Rispolverare antiche preghiere che ci sono state tramandate da un lontano passato ci fa sentire a volte la distanza dal nostro modo attuale di credere, di pensare, di vedere le cose… di pregare.
Per esempio, non vi è mai capitato di chiedervi perché nell’Atto di Dolore ci ostiniamo a ripetere che “peccando, abbiamo meritato i castighi di Dio”?
Dio ci castiga? Ci punisce? No! Quanto meno non ora su questa terra.
La nuova Teologia degli anni seguenti il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a sgomberare il cuore e la mente da un’immagine di Dio che era distorta da paura e superstizione. Ma allo stesso tempo non ci ha affatto intimato di abbandonare le antiche preghiere della devozione popolare, semmai di riportarle (secondo la riforma liturgica conciliare) a ruotare attorno al mistero centrale della Redenzione di Cristo. L’espressione “ho meritato i tuoi castighi” può dare l’idea di un Dio vendicativo. Noi sappiamo che si tratta di un antropomorfismo (cioè di un modo di spiegare le cose di Dio con categorie umane), ma è usata spesso dalla Sacra Scrittura, e ci ricorda che col peccato ci facciamo del male da soli. Infatti, il Beato Giovanni Paolo II, in Reconciliatio et Poenitentia diceva che il peccato è “un atto suicida” che “finisce per rivoltarsi sempre contro colui che lo compie con una oscura e potente forza di distruzione”.
Altre volte, se le preghiere che ci hanno insegnato e consegnato i nostri “vecchi” ci sembrano lontane dalla fede attuale è solo perché è cambiato profondamente il significato delle parole nel nostro modo di esprimerci (e anche perché conosciamo sempre meno la nostra cara lingua italiana).
Tali considerazioni mi sono venute in questi giorni in cui—per la prima volta—sto pregando con voi la lunga preghiera a Nostra Signora del Sacro Cuore in occasione della Novena. In particolare riguardo alla parola “rassegnazione” che torna due volte.
Noi siamo abituati a dare un significato molto negativo a questa parola.
Rassegnarsi, nel nostro italiano corrente, vuol dire “arrendersi” (per esempio al nemico, alla malattia, alla tentazione), o—peggio angora—”smettere definitivamente di sperare”. Se questo fosse il significato reale del termine, sarebbe tremendo invocare Dio di “donarci la rassegnazione”!
Invece, andando a controllare l’origine etimologica della parola, troviamo che “rassegnazione” è l’atto del rassegnare (letteralmente “ri-assegnare”), cioè: “riconsegnare al legittimo proprietario”. Rassegnarsi, in segno religioso, è quindi un atto di profonda fiducia: è rimettere nelle mani di Dio ciò che è suo, ben sapendo che solo Lui sa farne buon uso. È rimettersi nelle mani di Dio uniformandoci al Suo volere, conformandoci alla Sua volontà.
Ecco quindi cosa chiediamo quando—attraverso Maria—lo preghiamo che “si degni concederci una perfetta rassegnazione alla Sua Divina Volontà”.