Cosa ci resta del passato?
Ricordo che quando ero piccolo, c’erano molte più feste. Nel senso che, oltre alla Pasqua e al Natale, c’erano delle feste speciali che ogni paese (addirittura ogni contrada) aveva.
Feste che erano “di precetto”, cioè bisognava andare alla Messa ed era “peccato” lavorare…
Al mio paese—per esempio—era festa grande e solenne quella di San Rocco, a cui si era fatto un voto durante una terribile pestilenza. E pur capitando il 16 agosto, nel bel mezzo della stagione turistica (prima fonte di guadagno per i commercianti del paese), fino a non molti anni fa si chiudevano le serrande dei negozi e si faceva festa. Poi, col passare degli anni, si è cominciato a non chiudere più i negozi e a conservare solo la messa festiva di precetto (i commercianti si davano il cambio al bancone del loro negozio per andare a messa, chi prima e chi dopo)… poi, alla fine, si è dovuto anche sciogliere il voto, constatando che—se no—molti avrebbero fatto peccato contro il precetto festivo e il voto…
Avuta la grazia… gabbato lo santo, insomma.
Cosa è cambiato rispetto al passato?
Credo che non si possa dare colpa solo al progresso, che avrebbe imposto ritmi di lavoro e produzione sempre più frenetici. Forse il progresso ha trovato in noi uno spazio da conquistare, senza nemmeno troppa fatica. Uno spazio che c’era già: il vuoto e l’assenza del desiderio della festa, dello stare assieme. Credo che le grandi feste del passato (quelle che ci hanno consegnato i nostri cari) non fossero solo frutto del bisogno o della paura (della guerra, della carestia, della peste…). Sono convinto che fossero anche il frutto del bisogno di fare festa, insieme, come comunità cristiana. Anche perché se no, sarebbero bastate le devozioni e i voti personali per implorare la misericordia di Dio, l’intercessione di Maria e dei Santi… Invece—in modo spontaneo e genuino—nelle nostre parrocchie sono sorte devozioni e feste che ci testimoniano un forte spirito comunitario, generoso, di solidarietà.
Non è forse perché viviamo in un contesto troppo individualista che sentiamo come estranee (o comunque mettiamo in secondo piano) tutte le manifestazioni comunitarie? Non è perché la nostra fede diventa sempre più solo un fatto personale e privato che ognuno la vive “a misura di sé”, che non riusciamo più a capire e a gustare la bellezza del fare festa assieme?
È questo spirito di comunità, di grande famiglia, che dobbiamo recuperare se vogliamo che le feste e le ricorrenze che abbiamo ricevuto in eredità ritrovino il loro significato profondo.
Chiediamo al Signore che la prossima festa di Nostra Signora del Sacro Cuore ci faccia venire la nostalgia e il profondo desiderio di recuperare gli affetti genuini da cui è sorta.